Quel mattino di novembre il sole era sorto subito, senza indugiare dietro brume di nebbia. Anche l’aria era stranamente tiepida per una giornata che iniziava così cristallina. L’autunno, a volte, sa essere generoso.
L’Uomo partì dal paese in fondo alla valle poco dopo l’alba, zaino in spalla, solo. Quel sole dai contorni netti all’orizzonte gli aveva imposto di muoversi, di andare incontro a quella splendida giornata salendo al monte.
Dopo tre ore di cammino a passo svelto e leggero, l’Uomo raggiunse la cima del monte: il punto più alto di tutto quanto si potesse vedere intorno; il punto in cui l’aria era così trasparente da non dare tracce di sé; il punto più vicino al cielo.
L’Uomo respirò profondamente e chiuse gli occhi, come per dimenticare se stesso. Poi si sdraiò sull’erba rada del monte e lì, come porto verso il cielo, si lasciò accarezzare dal tepore del sole.
Un gorgoglìo dello stomaco fu il richiamo dei sensi. L’Uomo si mise a sedere e frugò nello zaino. Estrasse un pezzo di formaggio e del pane e mangiò lentamente. Poi prese la borraccia e bevve.
Il sole stava ancora salendo nel cielo e c’erano solo due ore di cammino fino al paese ma l’Uomo decise comunque di muoversi. Voleva abbandonare quel luogo prima che si spegnessero le sensazioni.
Giunto ormai a metà del percorso, udì in lontananza il primo rintocco della campana della chiesa.
Don.
“Mezzogiorno” fece in tempo a pensare, quando un forte fruscio proveniente dall’alto attrasse la sua attenzione.
Don.
L’Uomo alzò lo sguardo senza rallentare il passo e vide un maestoso Uccello cinerino spiccare il volo dalla cima di un enorme Abete che si ergeva proprio a lato del sentiero.
Don.
Accompagnò per qualche momento il lento innalzarsi nel cielo di quel volo finché non sentì un piede bloccato da qualcosa che sporgeva dal sentiero. L’Uomo ebbe lui stesso la sensazione di volare. Poi udì il rumore di due colpi secchi in rapida successione ma alla fine della caduta, l’esplosione che sentì alla testa spense subito ogni pensiero e ogni sensazione.
L’Uomo restò sdraiato bocconi, il capo leggermente rialzato sopra ad una grossa pietra.
Dopo un tempo indefinibile riaprì gli occhi. Cercò di mettere ordine a pensieri confusi ma senza riuscirci. Allora, lentamente, si rialzò e guardò intorno incerto. In un lampo i ricordi tornarono vividi. Partì dall’ultimo e percorse con gli occhi il grande abete fino al ramo più alto. L’Uccello era ancora lì, evidentemente era tornato, lo fissava. Strano, pensò l’Uomo assorto in quella visione, poi si scosse, aggiustò lo zaino in spalla, sbirciò l’orologio, mezzogiorno, e riprese il sentiero. Non si accorse che il maestoso Uccello aveva di nuovo spiccato il volo, non si accorse perché, questa volta, il battito d’ali non mandò alcun rumore.
Non si abbandona mai il sentiero segnato in montagna ma quella traccia in mezzo al bosco che tagliava giù, dritta, sembrava una sicura scorciatoia per scendere a valle. Spinto dalla curiosità più che dalla fretta l’Uomo decise di uscire dal sentiero ed addentrarsi in quel varco nel bosco.
Per un bel po’ camminò in ripida discesa scostando di tanto in tanto i rami e le sterpaglie che ingombravano il percorso. Poi, proprio quando cominciava ad attendersi di arrivare in un punto dove potersi orientare, la traccia di sentiero parve scomparire in mezzo alla boscaglia come un fiume scompare nel mare. L’Uomo si fermò perplesso. Guardò meglio davanti a sé cercando qualche segno di passaggio. Niente. Guardò a destra e a sinistra. Niente e niente ancora. Si girò allora a cercare i suoi passi, ma anche quelli erano come scomparsi: il bosco sembrava essersi richiuso intorno. Guardò l’orologio ma segnava ancora mezzogiorno. Si sarà fermato, pensò.
Risalire faticosamente il pendio in mezzo al bosco e cercare il sentiero? Proseguire in discesa sperando di arrivare rapidamente in fondo alla valle con il rischio però di trovare un torrente invalicabile o un orrido? I raggi del sole filtravano ormai obliqui dal fitto del bosco e a quella altitudine gli abeti avevano lasciato il posto ai faggi. L’Uomo decise di scendere ancora.
Camminò, camminò a lungo e sempre in discesa. Quanto? Due ore? Tre? Chissà. L’Uomo non aveva incontrato altro che alberi e la sensazione di essersi smarrito era ormai montata in certezza: malgrado non avesse un riferimento preciso del tempo, era sicuro di aver camminato in discesa molto più di quanto avesse fatto per salire in cima al monte. Avrebbe già dovuto incontrare il paese da un pezzo o almeno il fondo della valle dove sarebbe stato facile orientarsi. Eppure la china continuava imperterrita sotto di lui almeno fino a quanto lasciava intravedere il fitto del bosco. Il sole stava scomparendo dietro il profilo della montagna e la sera cominciava a spegnere i colori. L’inquietudine s’impadronì dell’Uomo. Era solo, in mezzo a un bosco di montagna, alle soglie della notte, senza cibo e con poca acqua…ma soprattutto, senza avere la minima idea di dove si trovasse.
Si fermò.
Malgrado il lungo cammino non sentiva stanchezza, né aveva fame o sete. L’angoscia, forse, aveva divorato tutti i bisogni fisici facendo spazio solo a se stessa.
L’Uomo alzò uno sguardo disperato verso le cime degli alberi da dove filtrava l’ultima luce del giorno. Vide un Uccello appollaiato tra i rami. Grande e silenzioso. Immaginò che fosse lo stesso che aveva visto volare via dalla cima del grande Abete e si sentì come rassicurato: forse aveva un compagno di viaggio in quel luogo sconosciuto.
Forse, non era solo.
Ormai l’oscurità si era impossessata di tutte le cose e rendeva pericoloso il cammino sul pendio. L’Uomo allora si sedette e appoggiò la schiena al tronco di un faggio. Per un riflesso condizionato sbirciò l’orologio da polso: le lancette erano sempre incollate sul mezzodì. Sorrise. Nessun orologio avrebbe comunque potuto restituirgli la luce del sole.
Il tempo, ormai, non aveva più importanza.
Il Cacciatore camminava allegro lungo il sentiero di montagna. Era stata una buona mattinata di caccia ed il pesante carniere lo testimoniava. L’aria era stranamente tiepida per essere novembre ed il sole, alto nel cielo, allagava di luce ogni cosa. Lo sguardo del Cacciatore indugiava avanti, seguendo traccia del sentiero, alla ricerca del grande Abete. Quante volte aveva fatto quel sentiero? Tante, forse più di mille nella sua vita. Sapeva che superato l’Abete in un’ora esatta sarebbe giunto al paese. Era impaziente di far vedere a tutti il trionfo della sua caccia e desiderava scandire con precisione il tempo del suo cammino: l’Abete.
Alla fine lo vide, enorme, proprio a lato del sentiero. Nei ricordi di quando era ragazzo gli sembrava ancora più grande ma i suoi occhi, con il tempo, si erano abituati alle cose.
Don.
Il Cacciatore udì il rintocco lontano della campana e sorrise: sarebbe arrivato all’una, giusto in tempo per il pranzo.
Don.
Un rumore proveniente dalle fronde più alte dell’Abete scosse il Cacciatore dai suoi pensieri. No! Non è possibile! Che giornata fortunata!
Don.
Il Cacciatore imbracciò lesto il fucile e sparò due volte verso il cielo.
Ad interrompere un volo appena cominciato.
Il Fabio, © 2019
Ho letto tutto il racconto d’un fiato, ritrovandomi perfettamente nelle sensazioni provate dall’Uomo sulla cima della montagna, in mezzo al silenzio e alla natura, con il suo pezzo di pane col formaggio. Andando spesso in montagna, mi capita spesso di pranzare così, guardando il mondo dall’alto e lasciandomi invadere da quelle preziose sensazioni. Sensazioni che, come hai magistralmente raccontato, possono essere spazzate via in un istante, dal Cacciatore, dall’indifferenza, da un sentiero sbagliato.
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Ciao. Ti ringrazio molto dei complimenti! Siccome il racconto è ad “incastro” e non ho idea di quanto l’incastro sia chiaro, secondo te è evidente dove stessero andando l’uomo e il grande uccello fuori dal sentiero?
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