Lunedì 29 agosto 2016, il giorno del mio 43° compleanno, i geologi di tutto il mondo si sono riuniti a Città del Capo, in Sudafrica, per il 35esimo Congresso Internazionale di Geologia ed hanno unanimemente annunciato che, nel 1950, il nostro pianeta è entrato in una nuova era geologica: l’Antropocene (Antropos in greco significa “uomo”). Vuol dire che l’impatto dell’uomo sul pianeta è talmente devastante da modificarne, sia a livello locale che globale, aspetto, temperatura, livello dei ghiacci e degli oceani, deforestazione, biodiversità, radioattività, come se l’uomo fosse un vulcano, una faglia o un ghiacciaio qualunque. Ogni anno nelle Alpi Apuane, l’estrazione del marmo si mangia 5 milioni di tonnellate di montagna. Dal Monte Toc, per la spinta del bacino della Diga del Vajont, si staccò una frana di 270 milioni di metri cubi di rocce. Dal 1950 al 2000, per cause antropiche, l’innalzamento termico ha prodotto lo scioglimento di 7.000 km quadrati di ghiaccio sui lati della penisola antartica. L’uomo, quindi, è a tutti gli effetti un agente geomorfologico, cioè modifica la superficie del pianeta. Non è che dalla nostra comparsa 250.000-500.000 anni fa, nel Pleistocene, ce ne siamo stati con le mani in mano fino al 1950, anzi. Ma i tempi, la quantità e la qualità delle modificazioni venivano dettati dalla forza e velocità delle nostri mani. Una catena diamantata o la dinamite hanno ben altri coefficienti produttivi rispetto ad un pollice opponibile.
Ho visto cave e miniere di tutti i tipi, dal marmo bardiglio delle Apuane a quello bianco di Crevoladossola, dalle miniere di oro o barite in Sardegna a quelle di quarzite a Sondalo. E poi il marmo rosa di Baveno, il tufo nel viterbese, il porfido trentino, il gesso romagnolo. Ogni volta una targa ricorda i morti sul lavoro oppure un articolo ne analizza i costi ambientali a discapito dei benefici occupazionali. A costo ti tirarmi l’odio di tutti gli ambientalisti del pianeta, io voglio confessare il mio amore incondizionato per le cave e le miniere, un amore estetico ed artistico, come se mi trovassi di fronte ad un’opera d’arte monumentale.
E’ successo ancora di emozionarmi in una fredda mattina di dicembre, quando, abbandonando il sentiero che da Malnate (VA) a Cagno (CO) si sviluppa parallelo al letto del fiume Lanza, mi sono fatta strada lungo il rilievo di Gonfolite, il substrato arenaceo-conglomeratico che delimita il corso del fiume e sono entrata nella prima grande sala delle Cave di Molera, dove il fiato, il sudore e il sacrificio di tre secoli di scalpellini hanno scavato un monumento di arenaria di infinita bellezza, oggi giustamente riconosciuto come patrimonio naturalistico e culturale.
Siamo nelle Prealpi Lombarde, nel PLIS Valle del Lanza, a cavallo tra le provincie di Como e Varese.
UN PO’ DI GEOLOGIA E STORIA
Arenaria, Gonfolite, molera, prealpi, PLIS, è un bel casino mettere ordine e assegnare un posto corretto a tutti questi termini. Proviamoci. Chi fosse interessato ad approfondire l’orogenesi alpina, premessa utile per comprendere come si è arrivati alla Gonfolite delle Cave di Molera, può leggere questo articolo molto esplicativo: LEGGI QUI
- L’arenaria è una roccia sedimentaria, derivante dalla disgregazione di sedimenti più antichi o rocce erose, con successivo accumulo e cementazione di sedimenti prevalentemente terrigeni (quarzo, feldspato e frammenti di rocce) aventi la granulometria della sabbia (diametro delle particelle compreso fra 0,06 e 2 mm). Con il processo di litificazione, le sabbie incoerenti si trasformano in rocce coerenti, cioè arenarie. A differenza delle sabbie, le arenarie sono quindi rocce compatte che possono essere distrutte solo a martellate.
- Superata la fase più intensa dell’orogenesi alpina, inizia lo smantellamento della catena, ormai sollevata ed emersa, che porta al riempimento di aree bacinali che si formano tipicamente lungo i margini delle catene montuose, caratterizzate da un ambiente variabile da marino a salmastro, da lagunare a lacustre e soggette a subsidenza per via del peso del prisma di accrezione. Il riempimento di tali bacini viene definito torbidite in una fase sinorogenetica e molassa in una fase postorogenetica. La sedimentazione di una torbidite o di una molassa non è continua ma avviene per il succedersi di un gran numero di colmate successive. L’arenaria presente delle Cave di Molera è stata per anni attribuita alla fase postorogenetica e per questo sentirete parlare di molassa. In realtà grazie ad una serie di studi più recenti ad opera dell’Università di Milano, è emersa una natura torbiditica (e non deltizia) dei depositi della Gonfolite. Questi ultimi costituirebbero un insieme di conoidi sottomarine profonde depositatesi al margine meridionale della catena alpina in fase di sollevamento ed emersione.
- La Gonfolite Lombarda è una successione arenaceo-conglomeratica della molassa sudalpina (in realtà torbidite), sviluppata ai piedi delle Prealpi tra il Lago Maggiore e il Lago di Garda, i cui affioramenti più tipici sono situati nel Comasco e datati Oligocene-Miocene (23 milioni di anni). Nella fase parossistica dell’orogenesi alpina, il paleo Adda sfociava in un golfo (il golfo adriatico) il quale occupava quella che è oggi la Pianura Padana nei pressi di Como. I sedimenti silicoclastici trasportati si accumularono in più cicli di deposizione in un deposito di conoide sottomarina in un ambiente rapidamente subsidente con alta velocità di sedimentazione. Sintetizzando, si possono distinguere le seguenti unità dal basso verso l’alto: 1) conglomerati a supporto clastico da medi a grossolani; 2) conglomerati a supporto di matrice; 3) arenarie massive; 4) sporadiche intercalazioni arenaceo-pelitiche sottili.
- Con “Cave di Molera” si identificano le cave dislocate tra Malnate (VA) e Cagno (CO) dove, tra il ‘600 e il ‘900, venivano estratte e lavorate le macine destinate alla brillatura del riso ma non solo, anche capitelli, mensole, frontalini, stipiti, coprimuri e pilastri. Nel territorio del comune di Malnate esistevano 7 cave di arenaria che nel 1873 davano lavoro a una trentina di persone. Gli operai e i manovali guadagnavano rispettivamente 2 lire e 1 lira al giorno e producevano ogni anno un migliaio di “brille da riso”. Un altro importante utilizzo fu quello legato alla produzione di mole per affilare lame e utensili vari, a partire dal 1870, grazie all’intuizione del malnatese Gaetano Ermoli (pietre da mola da cui molera). Più tardi, nei primi decenni del ‘900, lo smeriglio, molto più duro e resistente, sostituì la molera, a sua volta soppiantato da abrasivi sintetici e le Cave di Molera chiusero. Con l’abbandono dell’arenaria, gran parte delle maestranze furono impiegate nell’industria delle piastrelle che divenne in breve fiorente. Le prime testimonianze dell’impiego della Gonfolite come materiale da costruzione sono tuttavia molto più antiche, poichè la ritroviamo nelle mura di cinta di Castelseprio (VA), datate VIII secolo e nei palazzi e nelle chiese di Castiglione Olona (VA).
In data 20 novembre 2015 la Giunta Regionale Lombarda ha istituito il Monumento Naturale “Sistema naturalistico delle Cave di Molera di Malnate e Cagno” per lo straordinario valore ambientale e paesaggistico di questo sistema di cave. Per altre informazioni e curiosità CLICCA QUI
- I PLIS sono Parchi Locali di Interesse Sovracomunale che nascono per tutelare fauna e flora, essendo fondamentali elementi di connessione tra Parchi e Riserve Regionali e Nazionali per garantire la libera e protetta migrazione delle specie animali. Il PLIS Valle del Lanza è stato istituito nel 2002.
SITO UFFICIALE
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DESCRIZIONE DEL TREKKING
AGGIORNAMENTO AUTUNNO 2018: In seguito a fenomeni di crollo e distacco di materiale roccioso avvenuti all’interno degli ambienti delle ex-cave di Molera, il comune di Malnate con Ordinanza n. 132 del 12/09/2018, rilevate condizioni di rischio dell’incolumità pubblica relativamente all’accesso nelle stesse, ne ha interdetto l’ingresso e l’inosservanza del provvedimento comporterà la denuncia dei trasgressori alla competente autorità giudiziaria ai sensi dell’ art. 650 del c.p.
La partenza del nostro trekking è la Stazione di Malnate (VA), raggiungibile quindi sia in treno che in auto (parcheggiate l’auto nel piazzale della Stazione dove non occorre il disco orario nei giorni festivi). Dopo una doverosa pausa caffè e brioches alla Pasticceria Bassi – Villa Magnolia, il cui ingresso è proprio sul piazzale, si prende in discesa via Matteotti, si svolta a sinistra per via Mazzini, a destra per via Varese, si supera la rotonda di Piazza Repubblica e si svolta a sinistra per via Volta. Arrivati alla Chiesa di San Martino, riconoscibile anche da lontano per il campanile, imboccare la scalinata in discesa che costeggia il cimitero e, giunti al Ristorante Regina, portarsi all’inizio del ponte dove imboccare a destra via Zara. Alla Folla di Malnate, poco dopo il Mulino Bernasconi, attivo dal 1850, l’asfalto della strada cede il passo al sentiero e da qui ha inizio il vero e proprio trekking che, lungo 2,8 km, ci porterà sino al Mulino del Trotto a Cagno (CO). Le sette cave sono dislocate nell’ultimo tratto di questo sentiero.
Questo è il giro ad anello che vi proponiamo:
Stazione di Malnate (VA) –> Folla di Malnate e Mulino Bernasconi –> Cave di Molera –> Cagno (CO) –> Osteria Galli a Cantello (VA) –> Ritorno a Cagno e visita del Mulino dei Trotti –> Rientro lungo il tracciato della vecchia ferrovia della Valmorea –> Stazione di Malnate
Siamo partiti alle ore 10.00 circa dalla Stazione e siamo arrivati a Cagno per le ore 12.00, quindi mettete in conto circa due ore tra camminata e visita alle cave
Dalla Folla di Malnate il sentiero costeggia il fiume Lanza e dopo quasi 2 km, usando un po’ di intuito, si raggiunge nel bosco l’ingresso della prima cava. Le cave non sono segnalate per cui dovrete cavarvela con un minimo di spirito di osservazione. Gli ingressi stretti non fanno intuire la vastità degli ambienti interni, con ampie sale a volta, interconnesse da piccoli passaggi e riflesse con geometrici giochi prospettici sulle pozze d’acqua che si sono accumulate nei punti più depressi.
Molto ingenuamente la prima considerazione infantile che si è portati a fare osservando le stratificazioni delle pareti è che siano dovute all’azione dell’acqua del mare estinto, quasi come increspature disegnate dalle onde sulla rena della spiaggia. Altro che ondine, le cave furono coltivate tutte manualmente solo con l’ausilio degli scalpelli. Lo spessore di circa 30 cm di ogni strato corrisponde esattamente alla profondità massima che lo scalpello raggiungeva ed ogni strato è corrugato da decine di piccoli solchi perpendicolari ravvicinati lasciati proprio dallo scalpello. Veivano estratti blocchi di 2mx60cmx30cm. Un lavoro incredibile per lo più concentrato nell’arco di tre secoli, se escludiamo le sporadiche coltivazioni a partire dall’VIII secolo. I piani di lavorazione, inclinati di circa 35°-40°, rispettano i piani si stratificazione dell’arenaria. I blocchi venivano estratti dall’alto verso il basso.
Dall’ultima cava, il sentierino si inerpica lungo la dorsale di Gonfolite in un sali e scendi gradevole sino all’arrivo a Cagno (CO). Dal Mulino del Trotto, oltrepassato il ponticello antico di età in parte romana che segna il confine tra la provincia di Como e quella di Varese, si sale per circa un km lungo la strada asfaltata che porta a Cantello (VA) dove consigliamo di pranzare all’Osteria Galli, recentemente rinnovata nella gestione e rilevata da Lorenzo, un oste giovane e bravo. Noi sosteniamo volentieri l’economia locale e soprattutto l’imprenditoria giovanile! Ottima cucina e accoglienza da premiare. Vi do un’altra dritta. Cantello è la patria dell’asparago bianco di Cantello che, a differenza di quello di altre zone, avendo una diffusione abbastanza circoscritta al territorio di coltivazione, arriva la stessa mattina in cui viene colto e grazie alla sua freschezza lo si può utilizzare anche crudo, perché non ha quel retrogusto amaro, tipico dell’asparago colto da qualche giorno. Da aprile a giugno i ristoranti di Cantello fanno il pienone proprio grazie alle proposte a base di asparago ed occorre prenotare per tempo per trovare posto. Quale ghiotta occasione per unire natura, storia e cucina tradizionale!
IL MULINO DEL TROTTO
Il Mulino del Trotto meriterebbe un capitolo a parte ma vorrei lasciarvi un po’ di curiosità per invogliarvi a visitarlo. E’ un mulino a tre ruote, ancora ben conservate, situato sulla riva sinistra del fiume Lanza a Cagno (CO). Il nome deriva da un affittuario del ‘600, Antonio Mina, detto “il trotto”, esponente di un’intera famiglia di mugnai che esercitarono l’attività fino al secolo scorso. Mina è un cognome ancora oggi molto frequente. Al Mulino, per esempio, vi sono alcune opere di un famoso scultore, Felice Mina. Oggi il mulino non è più in funzione ma è visitabile grazie alla disponibilità di volontari che lo aprono su richiesta. Noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare casualmente Fabio, guardia ambientale nonchè nipote dello scultore, mentre era impegnato ad installare gli addobbi natalizi sul ponticello romano. Aprendoci le porte del mulino ci ha riportati indietro di 400 anni, raccontandoci la storia di questo luogo più alcuni aneddoti interessanti. Un aneddoto simpatico che vorrei raccontarvi riguarda le ragnatele che non venivano mai pulite all’interno del mulino perchè su di esse si depositava la farina, quindi muffa e funghi e venivano richieste come medicamento da mettere sulle ferite, come un antibiotico naturale, senza sapere che nel 1932 Fleming avrebbe scoperto la penicillina proprio da un fungo. Fabio ha anche aggiunto però: <<O guarivano o morivano>>!
Il mulino oggi funziona come ostello spesso utilizzato da gruppi scout o gruppi autogestiti. E’ dotato di una bella cucina fornita di tutto l’occorrente e, al primo piano, dispone di due stanzette dove dormire a terra coi materassini e sacchi a pelo. In alternativa dispone sino ad un massimo di 15 brandine pieghevoli. Bagni in comune. Questo è il numero per richiedere informazioni 338.2201707
Per conoscere la storia del mulino CLICCA QUI
LA FERROVIA DELLA VALMOREA
E’ una ferrovia, ahimè abbandonata, che collegava Castellanza in provincia di Varese a Mendrisio in Canton Ticino. Proprio il suo stato di abbandono suscita nell’escursionista che la percorre a piedi, un indiscutibile fascino alla Stand by me. E’ il percorso che consigliamo, quindi, per ritornare a Malnate da Cagno (attenzione ai traversini scivolosi).
Per conoscere la storia di questa ferrovia CLICCA QUI
RIEPILOGO DEL SIENTIERO
Dislivello in salita: 200 m
Dislivello in discesa: 200 m
11,3 km
Tempo in movimento: 3 h
Vuoi ricevere la traccia GPS di questo percorso? Scrivi a oggiescoblog@gmail.com
DOVE MANGIARE
Pasticceria Bassi – Villa Magnolia
alnate (VA)
Telefono: +39
Osteria Galli
Sito
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