Nel corso di un weekend del Carbonifero, circa di 360 milioni di anni fa, anno più anno meno, cominciò a piovere, ma mica come accade nel deprimente sabato di un impiegato che sogna di evadere in montagna. Molto, ma molto di più. La Terra si ricoprì di sconfinate e terrificanti foreste e continuò a piovere. Paludi, fango, tronchi caduti ricoprirono i continenti e stuzzicarono la creatività dell’evoluzione che partorì i primi timidi anfibi. Si formarono depositi di torba che, nel corso di milioni di anni, si trasformarono in vasti depositi di carbone, da cui il nome “Carbonifero”. Ora immaginate di fare trekking in un weekend di 300 milioni di anni fa, tra felci giganti, equiseti e licopodi alti 30 metri. Non ci riuscite? Per forza, l’uomo non esisteva ancora, ma nessun problema, basterà andare a camminare nella stagione vegetativa sopra a Baveno, tra il Monte Camoscio e il Monte Crocino, per entrare in contatto con la vera sopravvissuta del Carbonifero: la FELCE.
Welcome to the Jungle!
WILD BAVENO, OLTRE IL TREK
Questa storia inizia a metà settimana, quando veniamo invitati ad una escursione da un’amica appassionata di trekking ma della quale avevamo perso le tracce. Siamo un po’ perplessi per via delle temperature ancora alte e della bassa quota di partenza dell’itinerario (280 m), ma abbiamo voglia di socializzare per cui accettiamo consapevolmente questa missione suicida. Sono quasi le 11 quando parcheggiamo nei dintorni del Camping La Tranquilla di Baveno ed imbocchiamo il sentiero M3 per il Monte Camoscio, segnalato dalle paline in prossimità di un piccolo impianto idrico di fronte al lavatoio (asciutto). Dopo un breve tratto di strada asfaltata lungo alcune abitazioni e superata l’autostrada, inizia il vero e proprio sentiero. Una breve sosta nell’area, ancora in cantiere, dedicata al Sentiero dei “Picasass” (un sentiero un tempo usato dai cavatori di granito) e poi su diretti verso la prima tappa, il Monte Camoscio.
Sono, infatti, le 11 e la decisione più sensata è quella di percorrere l’anello in senso antiorario, in modo da raggiungere il prima possibile il Monte Camoscio, cioè il punto più panoramico del giro per l’ora di pranzo. A questo punto i miei ricordi si fanno confusi tra caldo, gocce di sudore e bosco afoso. Senza neppure l’appagamento di un panorama vista lago, a causa della fitta vegetazione, si fa strada in noi la delusione, sino all’arrivo, un’ora dopo, al Rifugio Papà Amilcare, una baita chiusa di proprietà dell’A.N.A. E qui, forse rinfrescati dal lavandino della struttura (acqua non potabile), il racconto cambia. Vuoi il riposo nell’ampio spiazzo erboso, vuoi il pranzo al fresco nell’area pic nic, si decide di proseguire e di chiudere l’anello, perchè l’ipotesi di tornare subito a casa per il sentiero dell’andata si era davvero insinuata nelle nostre menti. Poco prima del rifugio c’è una piccola traccia per salire sulla cupola di granito bianco e montonato del Monte Camoscio (890 m), riconoscibile dalla croce. Qui la tappa è d’obbligo perchè si gode il primo vero panorama della giornata. E che panorama. Per la cronaca, state appoggiando i piedi sul Plutone Mottarone-Baveno che, come gli altri corpi granitici della zona, appartiene ad un batolite originatosi nel Permiano, circa 275 milioni di anni fa. In questa zona esistono tre delle varietà di granito più utilizzate nell’edilizia civile, arredo urbano, arredamento e arte funeraria, già a partire dal XVI secolo: il granito bianco di MONTORFANO, il granito rosa di BAVENO e il granito verde di MERGOZZO.
Panoramica dal Monte Camoscio (890 m)
Superata la negatività iniziale, riprendiamo, quindi, il cammino seguendo l’indicazione per l’Alpe Vedabia. Ha inizio così il nostro trek “sensoriale”, tra felci alte più di un metro ed una vegetazione così rigogliosa ed infestante da ricoprire quasi interamente il sentiero. Lo sfregamento sulle braccia provoca persino qualche reazione allergica ai più sensibili del gruppo. Conosciuto come “il Pisciatoio d’Italia” per la frequenza delle precipitazioni piovose, il Verbano è letteralmente infestato da felci. Queste piante antiche hanno una modalità di riproduzione arcaica, cioè niente fiori e frutti, bensì spore, come i funghi. E’ facile intuirne, quindi, la diffusione in un territorio piovoso e ventoso.
Il camminare facendosi strada a fatica tra una vegetazione che tutto nasconde, cane compreso, è il vero punto di forza di questa escursione. A parte qualche breve scorcio sul Montorfano e sul fiume Toce da un lato e sulle Isole Borromee dall’altro, il panorama non giustifica la fatica. Giocare a fare il piccolo esploratore del Borneo è stato decisamente più divertente.
Sfiorato il Monte Crocino ed arrivati all’Alpe Vedabia (900 m), un piccolo nucleo rurale abbandonato, le indicazioni non sono chiarissime ma occorre scendere seguendo il corso d’acqua, dove è facile ritrovare la traccia del sentiero che, con una lunga e sgarruppata discesa vi porterà ad intersecare il primo tratto del sentiero dell’andata.
Non rimane che augurarvi buon Carboniferous Park!
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